Ma dobbiamo ricordare pure, Venerabili Fratelli, l’altro gravissimo delitto, col quale si attenta alla vita della prole, chiusa ancora nel seno materno. Per alcuni la cosa è lecita, e lasciata al beneplacito della madre e del padre; per altri è invece proibita, salvo il caso in cui esistano gravissimi motivi, che chiamano col nome di «indicazione» medica, sociale, eugenica. Costoro richiedono che, quanto alle pene, con cui le leggi dello Stato sancirono la proibizione di uccidere la prole generata, ma non venuta ancora alla luce, le pubbliche leggi riconoscano la «indicazione», secondo che ciascuno a modo suo la difende, e la dichiarino libera da qualsiasi pena. Anzi, non mancano coloro i quali domandano che le pubbliche autorità prestino il loro aiuto in simili mortifere operazioni; enormità che, purtroppo, in qualche luogo, si commette frequentissimamente, come è noto. Per quanto riguarda la «indicazione medica e terapeutica» - per adoperare le loro stesse parole - già abbiamo detto, Venerabili Fratelli, quanta compassione Noi sentiamo per la madre, la quale, per ufficio di natura, si trova esposta a gravi pericoli, sia della salute, sia della stessa vita: ma quale ragione potrà mai aver forza da rendere scusabile, in qualsiasi modo, la diretta uccisione dell’innocente? Perché qui si tratta appunto di questa. Sia che essa si infligga alla madre, sia che si cagioni alla prole, è sempre contro il comando di Dio e la voce stessa della natura: «Non ammazzare!»[Exod., XX, 13; cfr. Decr. S. Offic. 4 Maii 1898, 24 Iulii 1895, 31 Maii 1884]. È infatti egualmente sacra la vita dell’una e dell’altra persona, a distruggere la quale non potrà mai concedersi potere alcuno, nemmeno all’autorità pubblica. E, con somma leggerezza, questo potere si fa derivare, contro innocenti, dal diritto di spada, che vale solo contro i rei; né ha qui luogo il diritto di difesa, fino al sangue, contro l’ingiusto aggressore (chi, infatti, chiamerebbe ingiusto aggressore una innocente creaturina?); né può essere, in alcun modo, il diritto che dicono «diritto di estrema necessità», e che possa giungere fino all’uccisione diretta dell’innocente.
Pertanto i medici probi e capaci si adoperano lodevolmente a difendere e conservare sia la vita della madre, sia quella della prole; per contro si farebbero conoscere indegnissimi del nobile titolo di medici coloro che, sotto il pretesto di usare l’arte medica, o per malintesa pietà, insidiassero alla vita della madre o della prole. Tutto ciò pienamente s’accorda con le severe parole del Vescovo d’Ippona, il quale inveisce contro quei coniugi depravati che s’industriano di evitare la prole; ed ove non ottengano l’intento, non temono di ucciderla. «Talvolta - dice - questa crudeltà impura o impurità crudele giunge fino al punto di ricorrere ai veleni atti a procurare la sterilità e, se non vi riesce, a estinguere con qualche mezzo il frutto concepito e a liberarsene, bramando che la propria prole muoia prima di vivere, o se già viveva nel materno seno, sia uccisa prima di nascere. Per certo, se ambedue sono tali, non sono coniugi: e se tali furono fin da principio, non si congiunsero per connubio, ma piuttosto per turpitudine; se tali non sono tutti e due, oso dire: o che ella, in qualche modo, si prostituisce al marito, o che egli si rende adultero verso di lei » [S. August. De nupt. et concupisc., cap. XV]. Quanto poi alla «indicazione» sociale ed eugenica, le cose che si propongono, con mezzi leciti e onesti, e dentro i dovuti confini possono, sì, e devono esser prese in considerazione; ma quanto al voler provvedere alla necessità, a cui si appoggiano, con la uccisione degli innocenti, ripugna alla ragione ed è contrario al precetto divino, promulgato pure dalla sentenza apostolica: «Non si deve fare del male per conseguire beni» [Cfr. Rom. III, 8]. A coloro, infine, che tengono il supremo governo delle nazioni, e ne sono legislatori, non è lecito dimenticare che è dovere dell’autorità pubblica di difendere con opportune leggi e con la sanzione di pene la vita degli innocenti; e ciò tanto maggiormente, quanto meno valgono a difendersi coloro la cui vita è in pericolo, e alla quale si attenta; e fra essi, certo, sono da annoverare anzitutto i bambini nascosti ancora nel seno materno. Se i pubblici governanti non solo non prendono la difesa di quelle creature, ma anzi con leggi e con pubblici decreti le lasciano, o piuttosto le mettono in mano dei medici o d’altri, perché le uccidano, si rammentino che Dio è giudice e vindice del sangue innocente, il quale dalla terra grida verso il cielo [Cfr. Gen., IV, 10].