«198. Sciolta la congregazione de’ vicari, e guarito dalla risipola, subito si volse ad infrenare le pazze feste del carnevale, le quali, comeché prevedute, pur gli sembrava che troppo presto cominciassero a commuovere la città. E poiché colle preghiere, cogli editti, colle censure avea finalmente conseguito che nessuno osasse con pubblici spettacoli di giostre e danze profane violare il giorno festivo, a contener le genti negli altri giorni della settimana ordinava pubbliche supplicazioni e santi esercizi ad altre pie pratiche; e girando egli stesso, porta per porta, tutta la città, predicava dal pulpito, invitava il popolo alle comunioni generali che facea poi di sua mano; e questo facendo, non di rado seco traevasi una schiera di nobili che fossero agli altri d’esempio.
V’ebbe nondimeno alcuno fra’ suoi ministri medesimi, il quale osservò “inutili essere que’ tentativi. Le feste del carnevale essere sancite dal lungo volger dei secoli, convalidate dall’uso delle corti, dal patrocinio dei prìncipi, troppo care ad ogni condizion di persone, perché le cure del pastore giungessero a poterle reprimere”.
Alle quali osservazioni Carlo rispose: “Che l’uso del carnevale, per antico e pertinace che fosse, non altro veramente importava che lussuriosi banchetti, abusati liquori, danze lascive, incitamenti alla libidine e morte al pudore. Essere quindi vergognosissima cosa che i baccanali del carnevale fossero più costantemente difesi dal popolo che combattuti dal vescovo. Nelle grandi città non aversi penuria di quelli, che a’ salutari precetti della Chiesa diligentemente ubbidiscono, e che dal modo medesimo quelli ancora non mancheranno, a’ quali una virtuosa verecondia impedisse di scostarsi dalle orme che la cristiana pietà verrebbe loro tracciando. Là dove spesseggiano i vizi, ivi doversi moltiplicare le preghiere, onde le menti degli empi siano dalla colpa distolte, e l’ire vendicatrici dal capo di tutti stornate”.
Quanto gravi e vere fossero questo parole, lo dimostrano i fatti ...
Ecco come San Carlo aveva stabilito che nello spazio di tre settimane di carnevale tutta la città facesse i santi esercizi. Nella prima di esse settimane si dovevano tenere in tutte le parrocchie delle porte Vercellina e Ticinese, e si chiudevano colla Comunione generale in San Lorenzo, amministrata dall’Arcivescovo la mattina della domenica di Settuagesima. Nella seconda settimana si facevano nelle porte Comasina e Nuova, chiusi colla Comunione generale in San Marco, la mattina della domenica di Sessagesima. Nella terza si davano gli esercizi nelle parrocchie delle porte Orientale e Romana, e terminavano colla Comunione generale in Duomo, la domenica di Quinquagesima».
Tratto dalla Biografia di San Carlo Borromeo del Professor Antonio Sala, Milano, 1858
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