Dunque, dice santa Teresa: «Se oggi non sei pronto a morire, temi di morir male». Piange san Bernardino la cecità di questi trascurati, che fanno passare i giorni della loro salute, e non pensano che ogni giorno che perdono non mai per essi ritornerà: «Transeunt dies salutis, et nemo recogitat sibi perire diem, et nunquam rediturum» (Serm. ad scholar.). Desidereranno i miseri in punto di morte un altro anno, un altro mese, un altro giorno di tempo, ma non l’avranno, e sentiranno allora dirsi quel «Tempus non erit amplius». Quanto allora pagherebbe ognuno di costoro un’altra settimana, un altro giorno, almeno un’altra ora per aggiustare i conti da render a Dio! Dice san Lorenzo Giustiniani, che egli per ottenere una sola ora di tempo, darebbe tutte le sue robe, onori e spassi: «Erogaret opes, honores, delicias pro una horula» (De Vit. solit., c. 10). Ma quest’ora non gli sarà concessa; presto, gli sarà detto dal sacerdote assistente, presto partitevi da questa terra, non v’è più tempo: «Proficiscere, anima christiana, de hoc mundo». A che gli servirà allora il dire: oh mi fossi fatto santo! Avessi spesi gli anni miei ad amare Dio! Quando si troverà ad aver fatto una vita tutta sconcertata? Qual pena è ad un viandante l’avvedersi di aver errato la via, quando è fatta già notte, e non vi è più tempo di rimediare all’errore? Questa sarà la pena in morte di chi è vissuto molti anni nel mondo, ma non li ha spesi per Dio: «Venit nox, quando nemo potest operari» (Ioan., 9, 4). Perciò il Signore ci ammonisce: «Ambulate, dum lucem habetis, ut non vos tenebrae comprehendant» (Ioan., 12, 35). Camminate per la via della salute, ora che avete la luce, e prima che vi sorprendano le tenebre della morte, in cui ora non si può fare più niente; allora altro non si può fare che piangere il tempo perduto. «Vocabit adversum me tempus» (Thren., 1, 15). Nel tempo della morte la coscienza ci ricorderà tutto il tempo che abbiamo avuto per farci santi, e l’abbiamo impiegato per accrescere i nostri debiti con Dio: tutte le chiamate, tutte le grazie che il Signore ci ha fatto a fine di amarLo, e noi non abbiamo voluto valercene; e poi ci vedremo chiusa la via di fare alcun bene. Dirà il misero moribondo in mezzo a quei rimorsi ed a quelle tormentose tenebre della morte: oh pazzo che sono stato! Oh vita mia perduta! Oh anni perduti, in cui poteva io guadagnarmi tesori di meriti, potevo farmi santo se avessi voluto, ma non l’ho fatto, ed ora non v’è più tempo di farlo! Ma, replico, a che serviranno questi lamenti e questi pensieri, allorché sta per terminare la scena del mondo, la lampada sta vicina a smorzarsi, ed il moribondo sta prossimo a quel gran momento, dal quale dipende l’eternità? «Et vos estote parati, quia qua hora non putatis, Filius hominis veniet» (Luc., 12, 40). Dice il Signore «Estote parati» (siate pronti, ndR): non dice, uomini, apparecchiatevi nel tempo della morte, ma trovatevi apparecchiati, per quando ella verrà; poiché quando meno voi lo pensate, verrà il Figliuolo dell’Uomo a domandarvi i conti della vostra vita; ed allora sarà difficilissimo nella confusione della morte aggiustare talmente i conti, che ci liberiamo di non trovarci rei innanzi al tribunale di Gesù Cristo. Questa morte forse può avvenire fra venti o trenta altri anni; ma può anche avvenire tra breve, fra un altro anno, fra un altro mese. Posto ciò, se taluno dubitasse che forse tra breve dovrà trattarsi la causa della sua vita, non aspetterebbe certamente il tempo della decisione, ma procurerebbe quanto più presto potesse di aver un buon avvocato, di prevenire e far intesi i ministri delle sue difese. E noi che facciamo? Sappiamo certo che un giorno si ha da trattare la causa del maggior negozio che abbiamo, ossia il negozio (l’affare, ndR) della nostra vita, non già temporale, ma eterna, e questo giorno può essere che già sia vicino, e perdiamo tempo? Ed invece di aggiustare i conti andiamo accrescendo i delitti meritevoli della sentenza della morte eterna? Se dunque per il passato abbiamo per nostra disgrazia speso il tempo per offendere Dio, procuriamo di piangerlo nella vita che ci resta, come fece il re Ezechia dicendo: «Recogitabo tibi omnes annos meos in amaritudine animae meae» (Isa., 38, 13). Il Signore a questo fine ci dà la vita, acciocché rimediamo ora al tempo malamente speso: «Dum tempus habemus, operemur bonum» (Galat., 6, 10). Non provochiamo più Dio a castigarci con una mala morte; e se negli anni passati siamo stati pazzi, e l’abbiamo disgustato operando contro la Sua volontà, sentiamo l’Apostolo che ci esorta ad essere savi per l’avvenire, ed a redimere il tempo perduto: «Videte itaque, fratres, quomodo caute ambuletis: non quasi insipientes, sed ut sapientes, redimentes tempus, quoniam dies mali sunt... intelligentes, quae sit voluntas Dei» (Ephes., 5, 15 ad 17). Prosegue ...
(a cura di CdP)