San Giovanni Crisostomo dice: «Quel consesso aveva solo l’apparenza di un tribunale; di fatto era una spelonca di assassini sitibondi di sangue (con molta sete di sangue, ndR). Per questo il Signore intese rimproverarli non rispondendo alle loro domande» (Omelia LXXXV, In Mt.; Cf. «Letture sulla passione di Gesù Cristo», G. Pesce, Ed. Desclée & C, riedizione introdotta da P. Teodoro Foley, Generale dei Passionisti, 20 dicembre 1964, III. Commento dei santi Padri, pagine 302, 303, 304 e 305).
Origene commenta: «Caifa scongiurò Gesù Cristo e gli comandò di dirgli se egli veramente era il Figlio di Dio. Uomo diabolico; Satana, per ben due volte chiese a Gesù Cristo: dimmi se tu sei il Figlio di Dio. Caifa, ripetendo la stessa domanda, imitò Satana, suo padre» (Trattato XXXV, In Ut.; Ivi).
San Beda aggiunge: «Caifa nella sua domanda, si mostrò peggiore di Satana, poiché il fine di ottenere dalla bocca del Signore la confessione della verità, era di calunniarlo e condannarlo a morte» (In Lc.; Ivi.).
Sant’Ilario dice: «Osservate: Caifa si stracciò le vesti al momento nel quale Gesù si dichiarò Figlio di Dio, il vero Messia alla presenza di tutta la nazione ebraica, riunita nella persona dei suoi capi. Ciò significa, che, appena il divino Redentore - legalmente e solennemente - scoprì la vera sua natura e la sua vera missione, cessarono tutte le ombre, che erano state destinate a figurarlo. Cessò il sacerdozio di Aronne; scomparve la legge, dinanzi al Vangelo; si squarciarono i veli delle sacre Scritture, figurati nelle vesti sacerdotali» (Canone XXXII, In Mt.; Ivi).
San Girolamo commenta: «Caifa, sacerdote ebraico, stracciò le sue proprie vesti; mentre i soldati gentili conservarono intatta la veste di Gesù sul Calvario. Ciò indica che il sacerdozio di Cristo, figurato nella sua veste inconsutile, sarebbe restato perpetuamente intatto presso i popoli pagani divenuti cristiani; mentre rimaneva scisso e abolito per sempre presso il popolo ebraico» (In Mt.; Ivi).
Particolarmente significativa è la sentenza di Papa san Leone I, detto Magno: «Il buffone sacrilego (Caifa, ndR), reprime la sua allegrezza interna, mentre affetta al di fuori raccapriccio, orrore; compone a mestizia il volto, mentre tripudia nel cuore; si mostra sacerdote zelante dell’onor di Dio vilipeso, mentre sfoga il suo odio crudele; e per fare più profonda impressione sul popolo spettatore, si abbandona a moti violenti, a smanie da uomo profondamente addolorato, mentre era tutta ipocrisia (…). Infelice Caifa! Egli non comprese il tremendo mistero che compiva con quella frenesia sacrilega. Stracciandosi le insegne sacerdotali, si dissacrò con le stesse sue mani; si privò egli medesimo dell’onore e della dignità di Grande Sacerdote; egli stesso, reo e carnefice, eseguì sopra se stesso questa sua obbrobriosa condanna» (Sermone IV, De Passione …; Ivi).
Ne approfitto di queste poche righe per riportare ancora il pensiero di san Girolamo, tratto da san Tommaso D’Aquino, «Catena Aurea in quatuor Evangelia», Expositio in Matthaeum, cap. 26, lectio 16, Taurini editum, 1953: «Hieronymus. Per hoc autem quod scidit vestimenta sua, ostendit Iudaeos sacerdotalem gloriam perdidisse, et vacuam sedem habere pontificis. Dum enim vestem sibi discidit, ipsum quo tegebatur vestimentum legis abrupit».
A cura di CdP