I neofiti di alcune tribù selvagge del Nord, rimasti privi di sacerdoti, facevano ogni anno oltre trecento chilometri per soddisfare il precetto pasquale.
Il terzo precetto ci ordina di accostarci alla Penitenza almeno una volta l’anno. Per avere il perdono dei peccati gravi è necessario il sacramento della Confessione, o almeno il proposito di riceverlo quando sarà possibile. I cristiani dei primi secoli erano ben consci della necessità della confessione e vi si accostavano spesso. In seguito, diminuendo il fervore, anche la frequenza alla Penitenza andò scemando. Perciò la Chiesa, nel quarto Concilio del Laterano (1215), dichiarò obbligatorio per tutti i cristiani che hanno raggiunto l’uso di ragione accostarsi al sacramento della Penitenza almeno una volta l’anno: «Ogni fedele dell’uno e dell’altro sesso, giunto all’età della discrezione confessi fedelmente tutti i suoi peccati al sacerdote, almeno una volta l’anno, e procuri di soddisfare la penitenza impostagli; riceva inoltre, almeno per Pasqua, il sacramento dell’Eucaristia... Se manca a questo precetto gli sia interdetto l’ingresso in chiesa finché vive, e dopo morte, sia privato della sepoltura ecclesiastica» (DB 437).
Con questa legge la Chiesa non impose un nuovo obbligo, ma rese più chiaro ed esplicito l’obbligo di confessare i peccati e ricevere la Santissima Eucaristia. Il Concilio non inventò la confessione, come dicono i protestanti, ma determinò quante volte ci sia l’obbligo di confessarsi. Il Concilio di Trento precisò: «Se qualcuno negherà che tutti e ciascuno dei fedeli cristiani siano obbligati a confessarsi una volta l’armo, conformemente alla Costituzione del Concilio Lateranense, sia scomunicato» (DB 918).
Per sè è obbligato alla confessione annuale soltanto chi ha peccato mortalmente e non si è ancora confessato; ma anche chi non ha peccati gravi può essere obbligato, per dare buon esempio. Chi si confessa male non soddisfa l’obbligo della confessione annuale. I debiti non si pagano con moneta falsa. La confessione annuale per lo più è fatta nel tempo pasquale, come preparazione alla comunione di Pasqua.
L’obbligo di accostarsi all’Eucarestia almeno nel tempo di Pasqua. Gesù Cristo dichiarò che chi non mangia la sua carne e non beve il suo sangue non avrà la vita eterna. Nei primi secoli della Chiesa non vi fu bisogno di nessuna legge per obbligare i fedeli alla comunione, che i fedeli ricevevano ogni volta che assistevano al santo Sacrificio della Messa. Diminuita poi la devozione e la frequenza all’Eucaristia, la Chiesa nella citata Costituzione del quarto Concilio del Laterano prescrisse la comunione almeno nel tempo di Pasqua. Il Codice di Diritto Canonico confermò questa legge: «Ogni fedele, dell’uno e dell’altro sesso, giunto all’età della discrezione, cioè all’uso di ragione, una volta all’anno, almeno a Pasqua, deve ricevere il sacramento dell’Eucaristia» (can. 859, 1).
Chi non ha potuto o voluto comunicarsi nel tempo pasquale, che comincia la domenica delle Palme (i vescovi possono anticiparne l’inizio fino alla quarta domenica di Quaresima) e finisce la domenica in Albis (i vescovi possono prolungarlo fino alla domenica della Santissima Trinità), deve farlo durante l’anno. La Chiesa ha prescritto la comunione nel tempo pasquale perchè la Quaresima con la penitenza prepara all’unione con Cristo, e ci fa vivere la nuova vita con Cristo risorto.
Preghiamo perchè si rialzi il livello della vita cristiana e si frequentino da tutti con più assiduità i sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia.
Quest’esempio dovrebbe servire per coloro che si vergognano a confessarsi, anche nel segreto di una sacrestia o di una chiesa deserta. Il P. Cybeo S. J. stava predicando una missione nel villaggio brasiliano di Lages. Quando la folla, che era in chiesa, vide avanzarsi un noto peccatore, di nome Bernardino de Sa e chiedere si confessarsi, ne restò stupita. Bernardino era sordo e fu condotto in sacrestia. Nonostante che il missionario lo esortasse ripetutamente a parlare sottovoce, volle fare la sua confessione a voce alta, in modo che tutti sentissero: « Che importa che tutti sentano? Tutti sanno i miei peccati!».
La Chiesa, imponendo di confessarci e comunicarci una volta l’anno, aggiunge la parola «almeno» per ricordarci l’utilità, anzi il bisogno di ricevere spesso, come è suo desiderio, questi sacramenti.
Gesù Cristo desidera ridarci la vita soprannaturale quando l’abbiamo perduta, con il sacramento della Penitenza, e di accrescerla, nutrendoci con l’Eucaristia. Dovremmo confessarci almeno ogni volta che siamo caduti in peccato mortale per toglierci dal pericolo della dannazione eterna, e anche più spesso, per avere abbondante la grazia sacramentale, che preserva dalle future cadute, per avere sempre l’anima monda da ogni colpa, correggere le cattive abitudini, vincere le tentazioni e soggiogare le passioni. La Comunione è il cibo spirituale e accresce la nostra vita di grazia quanto maggiori sono la devozione e la frequenza con cui ci nutriamo. La Chiesa nell’imporre il precetto della confessione annuale e della comunione pasquale adopera la parola «almeno» a ragion veduta, e vuol significare che per salvarsi il minimo indispensabile è confessarsi una volta l’anno e comunicarsi a Pasqua. L’avverbio «almeno» sta anche a indicare il vivissimo desiderio che ha la Chiesa perchè ci accostiamo a questi due sacramenti di salute e di vita molto più spesso di quanto sia prescritto. Il padre che dice al figlio: «Studia, almeno per avere la sufficienza all’esame!» non desidera certo che abbia soltanto la sufficienza; anzi vuole il massimo dei voti. Il povero che chiede in elemosina «almeno» una lira è tanto più contento quanto maggiore è l’offerta. Il Concilio Tridentino dichiara che è grande desiderio della Chiesa che noi ci comunichiamo spesso, anzi spessissimo e ogni volta che assistiamo alla Santa Messa, come si usava nella Chiesa primitiva.
Il Sommo Pontefice Pio X, fedele interprete del desiderio della Chiesa, nel decreto «Sacra Tridentina Synodus» (20 dicembre 1904) riguardo alla comunione frequente, vuole che essa, «essendo desideratissima da Gesù Cristo e dalla Chiesa cattolica, sia accessibile a tutti i fedeli, a qualsiasi classe e condizione appartengano, in modo che a nessuno che sia nello stato di grazia e abbia retta intenzione può essere negata». Con il consenso del confessore è cosa ottima la comunione quotidiana. Basta che vi siano lo stato di grazia [ovvero che sull’anima non gravi la disgrazia di aver commesso peccati mortali] e la retta intenzione, cioè il desiderio di unirsi più intimamente a Dio nella carità.
È necessario insistere sulla comunione frequente e anche quotidiana, ma più necessario ancora insistere sulla devozione e sulle disposizioni con cui deve essere fatta.
Il libro degli «Atti degli Apostoli», afferma che i primi cristiani di Gerusalemme erano assidui alle istruzioni degli apostoli e alla comune frazione del pane (2, 42), cioè alla Comunione eucaristica.
San Gerolamo (+ 420) ci fa sapere che ai suoi tempi i fedeli di Roma si comunicavano ogni volta che assistevano alla Messa.
San Basilio (+ 379) ci dice che i fedeli della sua chiesa si comunicavano la domenica, il mercoledì, il venerdì e il sabato di ogni settimana e in tutte le feste dei Martiri. Aggiunge che è «cosa salutare ricevere il corpo del Signore ogni giorno».
Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, fanciulla di pochi anni, quando ancora non era stata ammessa alla comunione, bramava stare vicina a coloro che si erano appena comunicati, per sentire, diceva, il buon odore della presenza di Gesù. Più tardi diceva: «Per procurarmi il bene della comunione non esiterei, se fosse necessario, a entrare nella tana di un leone ed espormi a ogni specie di patimenti».
da Padre Dragone, Commento al Catechismo di San Pio X. Disponibile in commercio la ristampa anastatica del Centro Librario Sodalitium, Verrua Savoia.