È presto detto usare della giustizia; ma se in questa forma si venissero a precipitare le cose per quella via medesima, per cui vorrebbonsi raddrizzare, che ne direste? Non è egli vero, che ci vuole di molta prudenza per non far peggio? Appunto qui vi aspettava, per dirvi che da qualche tempo è corso quasi in proverbio un detto brevissimo, che nella sua semplicità racchiude una verità altissima, e nel suo laconismo spiega bastantemente la cagione degl’inauditi disordini, che tormentano il genere umano. Eccovi il detto, e con esso la mia risposta: per non far peggio, tutto va al peggio. Si è voluto lisciare il serpente, si è voluto lusingare, si è voluto accarezzare per non irritarlo di più: che n’è avvenuto? A lui è cresciuto il veleno e l’audacia, a noi l’avvilimento e la paura; a lui sonosi aumentate le forze, a noi sono venute meno, di un male, se non leggiero, certo però superabile da pronti e forti rimedi, si è fatto un male pressoché immenso ed incurabile.
E perché non si potrebbe dire, ch’è stata questa per avventura una disgrazia degli ultimi tempi, ne’ quali una regola anche ottima ha avuto la sua eccezione, come avviene generalmente dei principii morali? Perché vi dovete persuadere, che nel caso presente la massima non solo non è ottima, come voi dite, ma falsa; e che non ci ha punto condotti al profondo di tanti mali per una eccezione, ma per se medesima, e perché così doveva essere, secondo ogni ragione naturale e divina. Secondo la divina: poiché uno de’ più gravi torti che si possa recare a Dio, è quello di non credere, ch’egli abbia parte e parte massima nel governo delle umane cose. Ma se ciò credesi veramente, come poi dubitare, che facendo l’uomo per la gloria di Dio, ed a confusione dei suoi nemici, quanto richiede l’eterna sua legge, e le leggi umane e la ragione ancora, senza cedere un dito a discapito della giustizia, Dio non sappia dal canto suo condurre a buon termine gli sforzi dell’uomo, e impedire tutto quel peggio che ci fa fare tanto di male? Come fissarci in capo, che facendo l’uomo le parti proprie, Dio non abbia più a fare le sue? Eppure qui mira nel caso nostro la bella regola del non far peggio; mira a farci sacrificare gl’interessi della giustizia per una troppo ingiuriosa, non voglio dire speculativa, ma pratica diffidenza del potere, del sapere, della fedeltà di Dio. Qual meraviglia però, se dalla parte di Dio ha avuto sempre, e sempre avrà questa massima un infelice riuscimento? Ecco donde viene per verità ogni peggio: da una malintesa prudenza tutta di carne, la quale ci fa por gli occhi in noi soli, quasi che Dio o non entrasse nel reggimento degli uomini, o non fosse sollecito d’aiutare potentemente chi con franca mano si oppone ai disegni de’ suoi rivali. Prudentiac tuae pone modum, dice lo Spirito Santo ne’ Proverbi. Non bisogna dar luogo a quella incontentabil prudenza, la quale infine non serve ad altro, che a renderci inerti, e toglierci quella grand’anima di tutte le nostre operazioni, ch’è la confidenza in Dio. Vera prudenza è star forte sugl’interessi della religione, della verità, di Dio, non ceder neppur un palmo di terreno ai ribelli, non accomodarsi né poco né molto alle loro voghe. Essi non hanno forza più valida che la timidezza del potere legittimo. Il perdono, le grazie, le condiscendenze gli faranno più arditi a nuocere, ma non migliori. ...
Questioni XLV - XLVI. Dal Catechismo cattolico sulle rivoluzioni, S. Sordi, De Agostini, Torino, 1854. SS n° 13, p. 6