Bibbia e non Bibbia, ab. G. Ricciotti, Morcelliana, Brescia, 1935. «IN ALTIS HABITAT», parte 4 ed ultima. Una volta fui presente a certi esami di teologia, a cui presiedeva un celebratissimo professore. Venne un candidato (oramai si può dire, giacché sono passati parecchi anni, il candidato era un polacco, e chi sa dove si troverà oggi), al quale capitò la tesi sull’esistenza del purgatorio. Il candidato prese baldanzosamente la rincorsa: cominciò a parlare di Antioco Epifane, dell’ellenismo, dell’oppressione giudaica, dell’insurrezione dei Maccabei, di non so quante altre cose, e poi ad un tratto, ingarbugliando alla meglio poche parole, concluse trionfalmente: Ergo existit purgatorium. Gli esaminatori si guardarono fra loro stupefatti, quasi per domandarsi come quella conclusione scaturisse dalle premesse; intervenne perciò il suddetto professore, che presiedeva, e fece notare al candidato con cortesi parole l’inconseguenza della sua conclusione, invitandolo a ripetere la dimostrazione. Quello ricominciò, ma purtroppo rifacendo l’identica strada: Antioco Epifane, ellenismo, oppressione giudaica, ecc. e poi d’un salto, ergo existit purgatorium. Breve silenzio di ghiaccio, dopo il quale il candidato fu congedato. Passati alcuni mesi, trovandomi a parlare col celebratissimo professore, gli ricordai questo strano caso, ed egli me ne dette una probabile spiegazione: era stato forse un caso d’amnesia, prodotta da eccitazione nevrotica e da affaticamento cerebrale. Il candidato era intelligente, e doveva essere anche preparato; egli voleva certamente citare il noto passo di II Maccabei, 12, 46, che parla della preghiera in prò dei morti per scioglierli dai loro peccati, e voleva opportunamente illustrare lo sfondo storico di quel passo; sennonché le anormali condizioni delle sue facoltà mentali gli avevano probabilmente impedito di notare come nel suo ragionamento mancasse il filo logico, da cui inferire legittimamente quella conclusione ergo existit purgatorium. La spiegazione mi parve probabile: un caso patologico. La stranezza poi di quel processo dialettico mi restò tanto scolpita nella mente, che quando nel campo della vita pratica o in quello della scienza, m’imbatto in persone che seguano processi analoghi (e avviene tanto spesso!), immediatamente mi torna alla memoria quel melanconico ergo existit purgatorium. Sopra tutto quando si tratta di scrittori, verrebbe spesso da domandarsi se l’illogicità della loro dialettica non dipenda da casi patologici, qualora non fosse più frequente il caso dell’imperizia. Parlate voi a scopo parenetico, per compungere salutarmente l’animo mio? Sono disposto a grande larghezza verso i vostri processi logici, e mi contento d’ottenere quella salutare compunzione che commuove a bene l’animo mio. Parlate voi a scopo apologetico, per «dimostrare» la divinità della mia e vostra religione ed addestrarmi a difenderla nelle discussioni con increduli? In tal caso esigerò da voi la massima rigorosità nei processi logici, giacché la mia e vostra religione è troppo veneranda perché ci possiamo permettere di difenderla con raziocinii - burletta e circondarla di baluardi di cartone. Non basta quindi che mi enunciate delle verità indubitabili, bisogna anche che me le dimostriate seriamente: non basta che sia vero l’existit purgatorium, bisogna che sia vero anche l’ergo. L’apologetica dev’esser rigorosamente logica, cioè scientifica, e allora sarà utile; se non è scientifica, può essere assai dannosa, giacché può provocare il sospetto che la religione da voi difesa si fondi sulle false dimostrazioni da voi addotte: in sostanza, una involontaria propaganda d’incredulità. Ho sotto gli occhi un libro contemporaneo, d’indole ascetica, ma che alle volte vuole assumere un atteggiamento apologetico. Ad esempio, vuol «dimostrare» l’esistenza dell’inferno: Non può sostenersi l’inesistenza dell’inferno (sic); essa vorrebbero gli empì ma a loro dispetto l’inferno esiste, e Iddio stesso nelle sacre carte ci dice che congregherà sui reprobi tutti i mali, e scoccherà contro di essi tutte le sue saette: «Congregabo super eos mala, et sagittas meas complebo in eis» (Deuter., 32, 23). Questi mali e queste saette, come dimostrerò in questo giorno, saranno oltremodo terribili ecc. Infatti continua per tutta la trattazione a citare quel passo. Ma è da notare che quel passo, preso dal celebre cantico di Mosè, descrive la ven-detta che Dio compirà sui ribelli e pervicaci Ebrei del deserto, mentre non dice nulla dell’inferno e dei suoi reprobi; dunque in realtà Iddio stesso nelle sacre carte non dice ciò che qui gli vorrebbe far dire l’autore. E siamo in una «dimostrazione». Che poi l’inferno sia pieno di orribili tormenti facilmente si deduce dalla Scrittura. E per fermo in essa ora è detto che nell’inferno vi sono miserie e tenebre, disordine ed orrore sempiterno (Giobbe, 10, 22); ora che vi sono fuoco, zolfo e vento procelloso (Salmo 10, 7 [ebr. 11, 6]); quando che vi sì cangeranno i torrenti in pece la terra in zolfo, i campi in pece ardente (Isaia, 34, 9); quando che vi sarà pianto e stridore di denti (Matteo, 8, 12); a volte che vi si soffrirà un ardentissima sete (Giobbe, 18, 9); altre volte che vi si avrà una fame da cane: «Famem patientur ut canes» (Salmo 58 [ebr. 59], 7). - Ebbene, sono sei passi citati, per dimostrare che l’assunto facilmente si deduce dalla Scrittura, ma di essi uno solo - quello del Nuovo Testamento, meno vistoso di tutti - ha forza probativa; quanto agli altri cinque, se l’autore si fosse data la pena di consultare in proposito qualche commentatore cattolico moderno, avrebbe visto subito che nessuno di essi si riferisce all’inferno della teologia cristiana, e quindi non «dimostrano». L’inferno, come tante altre verità, è un dogma di fede del quale un cattolico non può dubitare. Ma, appunto per questo, verità di tal genere vanno trattate con serissima riverenza, quando si vogliono «dimostrare». Se non si ha questa riverenza, che implica indispensabilmente un’adeguata preparazione, si finirà nel sistema dell’ergo existit purgatorium: l’enunciato era vero, ma l’ergo era falso.