Multi labuntur errore propter ignorantiam historiae, diceva già ai suoi tempi san Girolamo, che aveva notato come molti confondessero l’Erode della nascita di Cristo con l’Erode della passione di Lui, quasi fossero un solo personaggio (Lib. I in Matthaeum, 2,22). Purtroppo anche oggi il sarcastico solitario di Bethlehem potrebbe dir lo stesso, dal momento che non sembra diminuito il numero di quei che abbordano la Bibbia con la stessa ignorantia historiae. Finché uno di questi tali evita prudentemente il campo dei fatti e si limita a precetti morali, potrà cadere in altri equivoci, evitando granchi storici; ma quando deliberatamente vuole scendere sul terreno storico, avvengono casi addirittura sconcertanti. Uno scrittore ascetico - piuttosto antico, ma che va ancora per le mani di molti - tratta della passione di Cristo. Vi fa sopra buone considerazioni parenetiche e morali; ma, ad un tratto, ha l’infelice idea di entrare in una questione cronologica, cercando di fissare a che ora circa avvenne la flagellazione di Cristo. La risposta è che avvenne all’alba, all’ora mattutina; tutta la prova ne è la citazione del Salmo 72 (ebr. 73), 14, che dice: Et fui flagellatus tota die, et castigatio mea in matutinis. Davanti a dimostrazioni di questo genere c’è da chiedersi se la dialettica sia uniforme per tutti gli uomini: giacché quel tota die ha pure il suo significato. Ma, a parte ciò, chi ha detto che quel Salmo parli di Cristo, se non ha alcun accenno messianico, e tratta invece l’eterno problema del male nel mondo e della prosperità dei malvagi? Infine, quel ch’è peggio, il vero senso del testo ebraico è il seguente: E tribolato son io tuttodì, e la mia pena [si rinnova] ogni mattina. Stando così le cose, c’era proprio bisogno di fare quell’imprudente scorsa storico-cronologica, allegando un testo che dimostra in proposito quanto potrebbe dimostrare, supponiamo, il passo De profundis clamavi ad te Domine? Un Agostino o un Girolamo, per quella questione cronologica, sarebbero ricorsi ai Vangeli. Un altro scrittore ascetico vuol dimostrare, con fatti storici, l’efficacia del ritiro spirituale. Anche Davide sperimentò l’efficacia del sacro ritiro. Aveva egli ceduto agli stimoli della sua concupiscenza ed al timore che fosse scoperta la sua malvagità; aveva commesso un adulterio ed un omicidio;... e, conosciuti i suoi mancamenti per l’avviso avutone dal profeta Natan, si persuase non esservi rimedio più efficace per piangere le sue colpe, e fortificarsi a non tornar più a commetterle in avvenire, quanto di segregarsi sovente dalle occupazioni temporali, e pensare nella solitudine del proprio cuore e nel silenzio della notte all’importantissimo affare della eterna salvezza dell’anima sua: «Meditatus sum nocte cum corde meo, et exercitabar, et scopebam spiritum meum» (Salmo 76[ebr. 77],7). E questa sua condotta fu la causa del suo sincero ravvedimento, delle sue lagrime, delle sue austere penitenze, ecc. Ora, lasciamo stare che il passo del Salmo citato ha tutt’altro senso da quello attribuitogli dal nostro scrittore: lasciamo anche stare che il ravvedimento di David sembra che avvenisse, secondo il racconto biblico, in maniera diversa: lasciamo pure da parte il periodico segregarsi dalle occupazioni temporali e le austere penitenze di David; rimane ad ogni modo il fatto che il Salmo citato non è attribuito a David, bensì ad Asaph, e ciò tanto dalla Vulgata quanto dal testo ebraico. E allora? che cosa rimane di tutta la dimostrazione «storica» del nostro scrittore? Rimane una cosa: l’imputazione di un adulterio e di un omicidio ad Asaph, che probabilmente non aveva mai fatto male ad una mosca, per poter poi concludere dal passo citato che egli ne faceva penitenza nel silenzio della notte. Asaph, se fosse vivo, potrebbe dare al nostro scrittore una regolare querela per calunnia, con la sicurezza di fargli passare qualche anno in prigione. Evidentemente egli è stato vittima dell’opinione che David sia l’autore di tutti i Salmi: opinione che, sebbene in contraddizione diretta con ciò che afferma la Bibbia, è ancora abbastanza diffusa presso quei molti che si addentrano come pellegrini nella sconosciuta città della Bibbia, e quindi labuntur errore propter ignoratitiam historiae. (Io spero bene che il mio lettore non mi stimerà così disonesto da inventare citazioni di questo genere: questo tratto l’ho ricopiato a parola da un libro stampato in questi ultimissimi anni, sotto il bel sole d’Italia, con tanto di nome e cognome e titoli dell’autore. Pellegrino sembrava, sia della Bibbia sia di Gerusalemme, quello sconosciuto che si unì lungo il cammino con i due discepoli indirizzati ad Emmaus: si mostrava ignaro di quant’era successo testé in città, non sapeva niente. E allora, con una puntarella di pietosa maraviglia, i due esclamarono: Tu solus peregrinus es... et non cognovisti quae facta sunt? (Luca 24,18); gli narrarono quindi quel ch’era successo, e finirono per commentare i fatti narrati con certe loro riflessioni. Ma, quand’ebbero finito, lo sconosciuto scoprì il suo giuoco: accettò egli i fatti, respingendone invece recisamente i commenti, e li dimostrò erronei con una dimostrazione che partiva a Moyse et omnibus prophetis e scendeva giù giù in omnibus scripturis. I due rimasero sbalorditi: quello sconosciuto, dunque, ne sapeva in realtà più di loro; pre-sapeva che i fatti successi dovevano necessariamente succedere. La dimostrazione fatta dallo sconosciuto fu per essi una sintesi totale, in cui ritrovarono anche i fatti particolari eh essi credevano di avergli notificati. È importante rilevare che lo sconosciuto basò la sua dimostrazione sulla «lettera di Dio»: pare, anzi, che l’utilizzare tutta per la sua sintesi, giacché quell’ omnibus, ripetuto due volte una appresso all’altra, significa pur qualche cosa. Fatti prefigurativi, episodii preparativi, disposizioni della Provvidenza nello svolgimento degli eventi umani, profezie, tutto ciò insomma che nella «lettera di Dio» si riportava al Messia, dovette essere utilizzato dallo sconosciuto nella sua dimostrazione. Già sopra ricordammo che la Bibbia, mentre non è un meccanico formulario di sentenze, è invece il monumento storico della rivelazione: ossia - per servirci ancora dell’immagine là usata - è un tracciato grafico che mostra, passo per passo, le vie ascensionali per cui Dio ha voluto elevare l’umanità alla vetta della rivelazione cristiana. Quando perciò il lettore si accinge a leggere, e specialmente a spiegare ad altri, la «lettera di Dio», deve conoscerne lo sfondo «storico»; e ciò, non solo per evitare grossolani equivoci e dannose lacune, ma anche per far risplendere in tutto il suo fulgore, agli occhi proprii ed altrui, il divino disegno «storico» tracciato da Dio per la salvezza umana. ...
ATTENZIONE: L’Autore - Abate Giuseppe Ricciotti - non sta affatto incentivando il metodo storico-critico tipico dei modernisti. Tutto sarà chiarissimo leggendo, settimana dopo settimana, le pagine del suo libro, qui riportate per episodi. Abbiamo ritenuto opportuno precisarlo! (ndR)
«NON COGNOVISTI QUÆ FACTA SUNT», parte 2. Da Bibbia e non Bibbia, ab. G. Ricciotti, Morcelliana, Brescia, 1935. SS n° 14, p. 5