Chi conosca anche sommariamente il pensiero di san Paolo su tale questione, non ha bisogno d’altri schiarimenti. E tuttavia, in pratica, espositori cristiani della Bibbia cadono spesso in questa inavvertenza, di citare (supposto che abbiano ben compreso il senso letterale) esempi, fatti, enunciati, che per il loro spirito non hanno più nel cristianesimo forza probativa, e sono soltanto un codice abrogato. È il fallace principio della Bibbia - formulario: scriptum est nella Bibbia, è ispirato, quindi deve servire a qualche cosa. Sissignore, deve servire a qualche cosa: ma questa qualche cosa non è sempre l’obbligatorietà di quella norma, l’efficacia di quell’esempio, o la fondatezza di quel principio trasportato all’economia del cristianesimo; può essere ed è in realtà assai più spesso un semplice monumento del passato, conservato nell’ispirata Bibbia, con cui Dio vuol ricordare ai figli della Rivelazione perfetta per quali ascensionali vie Egli ha voluto elevare l’umanità intera alla vetta del cristianesimo. Chi sta sulla vetta di un monte si volge volentieri a riguardare, in basso nelle valli, le faticose strade che ha battuto per giungere lassù: è una veduta che consola; ma dalla vetta egli non pensa mai a discendere di nuovo laggiù. Esempi da addurre ve ne sarebbero parecchi: e su questo punto ne fornirebbero, oltre agli autori ascetici e agli oratori che troveremo spesso in seguito, anche quei liturgisti che, sforniti di soda preparazione storica, credono di trovare la spiegazione di moltissimi riti e oggetti della liturgia cristiana in prescrizioni dell’Antico Testamento. Ricordo di averne letto uno recente che, volendo spiegare perché il sacerdote nella Messa debba coprire il calice con la palla, si richiamava alla prescrizione di Numeri 19,15, secondo cui vas, quod non habuerit operculum..., immundum erit; ma in primo luogo si tratta, come spesso, di una citazione a sproposito, giacché il contesto del passo dimostra che la prescrizione riguardava i recipienti che si trovavano nella tenda in cui era morto un Ebreo; e poi, non ci voleva un grande sforzo di attenzione a notare quanto fosse inopportuno, o meglio irriverente, applicare quel passo, con le sue parole finali, al calice della Messa. Non vale la pena di trattenersi su ciò; tuttavia merita di esser segnalato un punto d’intonazione più alta. Si trova addotto, da oratori che prediligono le tinte fosche e anche talvolta da scrittori ascetici, il principio che Dio punisce l’iniquità dei padri nei figli, fino alla terza e alla quarta generazione. È il principio enunciato in Esodo 20,5; 34,7; Numeri 14,18; e altrove nell’Antico Testamento. Con tutto ciò non si può affatto sostenere che questo principio teologico della retribuzione genealogica fosse l’unico vigente a tal proposito nella rivelazione ebraica; col volgere del tempo e con l’avvicinarsi del cristianesimo quel principio non vige più, decade, e già ai tempi dell’esilio babilonese Ezechiele lo proclama a nome di Dio sostituito dall’altro principio della retribuzione strettamente personale (Ezech. 18). Quanto ai tempi della rivelazione cristiana, non ne parliamo neppure: solo a sfiorare lo spirito della parabola del figliuol prodigo, si conclude immediatamente che ove regna questo spirito non può essere applicato il principio della retribuzione genealogica. È dunque uno dei tanti punti nei quali l’economia della rivelazione cristiana ha abolito e sostituito quella ebraica, il cui principio di retribuzione genealogica è rimasto là nella Bibbia a testimoniare la lunga depressa via per cui Dio ha fatto ascendere l’umanità alla vetta del cristianesimo. Ma naturalmente questi dati, strettamente storici, bisogna conoscerli ed averli presenti. Invece, perché o non si sanno o non si ricordano, avviene che i suaccennati scrittori d’oratoria o d’ascetica - e, naturalmente, sono cristiani - ti citano, e ti amplificano, e ti gonfiano il suddetto principio, come fosse l’articolo d’un codice divino vigente. Che ha da fare l’ abolito vecchio fermento, direbbe san Paolo, con i nuovi genuini azimi? - Santissimo apostolo, gli si potrebbe rispondere, è un semplice malinteso: codesti sinceri cristiani adoperano la Bibbia, in buona fede, come un formulario tutto in vigore. Appena è il caso, poi, di ricordare che la Bibbia, se non è un formulario, tanto meno è un libro magico. Nessun cristiano sincero la considererebbe certamente oggi come tale; se, nell’antichità, invalsero fra le plebi di fede rozza abusi che in qualche modo s’ispiravano ad un concetto magico, essi furono combattuti dalla Chiesa e oggi probabilmente sono scomparsi dappertutto. Per fortuna non si stampano più libri quali II salmista secondo la Bibbia con le virtù di detti Salmi (già nel 1514 a Venezia, e in seguito altrove), ove un Salmo è raccomandato per scongiurare il malocchio, l’altro contro le cavallette, il terzo per la fecondità delle donne, e via di seguito; neanche si praticano più per mezzo della Bibbia le sorti divinatorie, col fare arcani còmputi sulla prima lettera a sinistra d’un Salterio aperto a caso; e neppure si attribuiscono a tre o quattro parole bibliche, scelte con misteriosa sapienza e trascritte con regole speciali, infallibili virtù benefiche in certe occasioni della vita. (Sarebbe anzi uno studio interessante ricercare in che misura influì su queste pratiche delle plebi cristiane la Cabbala giudaica, diffusissima ancora nel Rinascimento, e che seguiva computi e procedimenti analoghi, ritrovando nella Bibbia il misterioso e l’arcano dappertutto, specialmente nei numeri e nei nomi). Tutto ciò, dunque, per fortuna è sparito. Eppure può essere lontanamente ricordato da un certo vezzo, ancora oggi qua e là in onore, di ritrovare nella Bibbia l’arcano, il misterioso, il recondito, là dove non c’è affatto. ...
«PUNCTA DOLENTIA», parte 2. Da Bibbia e non Bibbia, ab. G. Ricciotti, Morcelliana, Brescia, 1935. SS n° 3, p. 5